Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.
Nella Dichiarazione universale, il principio di non discriminazione è indicato come uno dei principi generali per il godimento dei diritti umani. In questo senso, il divieto di discriminazione appartiene a quello zoccolo duro del Diritto Internazionale generale che costituisce lo Ius Cogens, che cioè obbliga tutti incondizionatamente, ed è menzionato nella maggior parte degli strumenti normativi internazionali, a cominciare dall’art. 1 della Carta delle NU, nonché nell’art. 2 comune ai due Patti internazionali del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici, sociali e culturali, e nella Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia (art.2).
Adottata dall’Assemblea Generale il 21 dicembre 1965, la Convenzione definisce all’art. 1 il concetto di “discriminazione razziale” nei seguenti termini: “ogni distinzione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale o in ogni altro settore della vita pubblica”.
Il diritto a non essere discriminati per la propria origine è ormai riconosciuto ampiamente, riportato in tutti i documenti internazionali di tutela dei diritti umani, a conferma che in ambito NU la lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale ha rappresentato fin dalla costituzione dell’organizzazione un obiettivo primario. In questo senso, l’Assemblea Generale ha ribadito il suo impegno nel corso degli anni convocando tre Conferenze mondiali (1978, 1983 e 2001), e proclamando tre Decenni dedicati alla lotta contro il razzismo e la discriminazione razziale (1973-1982, 1983-1992 e 1994-2003).
Nel 1950, il documento Dichiarazione sulla razza dell'UNESCO è stato il primo documento ad aver negato ufficialmente la correlazione tra la differenza fenotipica nelle razze umane e la differenza nelle caratteristiche psicologiche, intellettive e comportamentali.
Storicamente rappresenta un insieme di teorie con fondamenti anche molto antichi (ma smentite dalla scienza moderna) e manifestatesi in ogni epoca con pratiche di oppressione e segregazione razziale, che sostengono che la specie umana sarebbe un insieme di razze, biologicamente differenti, e gerarchicamente ineguali. Tra gli ispiratori ideologici degli aspetti contemporanei di questa teoria vi fu l'aristocratico francese Joseph Arthur de Gobineau, autore di un Essai sur l'inégalité des races humaines[8] (Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane, 1853-1855). Nel XIX secolo quello che sarebbe stato poi definito razzismo nel secolo successivo ebbe rilevanza scientifica, al punto da venire oggi chiamata dagli storici razzismo scientifico.
Intorno al 1850 il razzismo esce dall'ambito scientifico e assume una connotazione politica, diventando l'alibi con cui si cerca di giustificare la legittimità di prevaricazioni e violenze verso etnie, raggruppamenti culturali, ed altro, diversi dai propri. Alcune delle massime espressioni di questo uso sono stati il nazionalsocialismo in Europa e il Ku Klux Klan nel Nuovo Mondo.
La segregazione razziale negli Stati Uniti è stata abolita nel 1964 con la legge sui diritti civili, ma ancora oggi la società americana risente fortemente del fatto che per molto tempo la discriminazione è stata legge e condizionava ogni aspetto della vita delle persone: gli affitti, l’istruzione, i trasporti, la sanità.
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